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"Il viaggio dei Matòci"
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15 11 2014
La povera gente del Trentino, fino a non molti decenni fa, viveva di stenti e miseria, trascorreva stagioni scandite dal severo ritmo della natura, oppressa dalla fame e dai potenti. Una volta all’anno ricorreva però il giorno del riscatto, quando l’uomo, finalmente, indossando una semplice maschera di legno, trovava il coraggio della derisione e della burla. Il “Carnevale dei Matòci” della Valfloriana può essere considerato il più antico e il più importante evento carnevalesco del Trentino e per molti aspetti di tutto l’arco alpino, sopravvissuto ad un processo di omologazione che ha portato ormai la maggior parte delle manifestazioni di questo tipo a ripetere modelli spettacolari del tutto estranei alla cultura popolare locale. Nascosti dietro le “facére” (evocative maschere di legno di cìrmolo), gli abitanti della valle si tramandano da secoli l’eredità antica del Carnevale. Accompagnati da altri strani personaggi che indossano costumi multicolori, rito propiziatorio per l’arrivo della bella stagione, i Matòci ridiscendono il costone montano e visitano i piccoli e sperduti centri della valle, partendo dalla frazione più distante e raggiungendo poi il fondovalle. Per raggiungere la meta, i Matòci devono superare una serie di ostacoli e impegnarsi in scanzonati botta e risposta satirici, un sistema che richiama l'antico sistema di dazi e pedaggi da pagare per passare da un paese all'altro E’ un viaggio per molti aspetti catartico, che dura un’intera giornata e che rinnova l’usanza di ritrovarsi dopo il lungo e rigido inverno per stare insieme, esorcizzando gli stenti della vita di montagna.
Dubliners 1914-2014. A Century later
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13 10 2014
“ One by one, they were all becoming shades. Better pass boldly into that other world, in the full glory of some passion, than fade and wither dismally with age”. James Joyce Mi hanno sempre colpito le descrizioni che Joyce fa dei “Dubliners” nel suo romanzo. Così dettagliate, precise, vere e proprie istantanee della città e dei protagonisti che conducono un’esistenza infelice, falliscono e non riescono a trovare il coraggio o la volontà di lasciarsi tutto alle spalle e scappare. Dopo aver riletto “Gente di Dublino”, la rinnovata curiosità che il libro ha acceso in me mi porta nella capitale irlandese. Ero curioso di capire se, esattamente un secolo dopo la prima pubblicazione, si potevano rintracciare nei nuovi Dubliners gli stessi stati d’animo e gli stessi sguardi dei protagonisti dell’opera di Joyce. Mi sono ritrovato immerso in una realtà in cui ho ritrovato incredibili analogie con i personaggi descritti nel romanzo, Il tempo non sembra avere alterato la natura umana e ho avuto l’impressione che le persone incontrate condividessero le stesse emozioni, le stesse aspettative deluse, vivessero le stesse vicende, le stesse condizioni di lucida follia e di abbandono, proiettate per incanto un secolo dopo. Mi è parso di rivedere Eveline nel volto della ragazza dallo sguardo melanconico. Mrs. Kearny nell’elegante sicurezza della signora di buona famiglia, ho incontrato Maria, con il suo senso di inadeguatezza, la sua solitudine e lo sguardo nel vuoto. Al Mulligan’s conversavano amenamente Farrington e i suoi compagni di bevute. Ho intravisto anche Tom Kernan, venditore dai bei modi finché l’alcool non se l’è portato via. Ho incrociato lo sguardo annoiato dalla routine quotidiana del bambino che marina la scuola e lo strano vecchio che egli incontra, dalle maniere un po’ stravaganti. Ho scorto Polly e sua madre e ho riconosciuto la timidezza e le frustrazioni di Thomas Chandler per una vita mai realizzata. E James Duffy con il suo mal di vivere, e ancora il senso di mediocrità che avvolge Gabriel Conroy, ma anche la sua speranza per un cambiamento possibile, con quel suo “go west” che prelude alla morte fisica, oppure a una catartica fuga dalla realtà irlandese, nell’ultimo racconto dell’opera. “Dubliners 1914-2014. A Century Later” 50 ritratti