QUOTE
Vedo che continui a presupporre che il rapporto aureo sia una regola compositiva che possa indurre una sensazione (ti tolgo la gradevolezza anche se, ribadisco, il luogo comune recita che la induca).
Vedo che continuiamo a partire da presupposti e postulati che definire
diversi è un eufemismo...
Inoltre, come ti ho già detto, io parto dalla mia
esperienza: l'esperimento che ti ho proposto l'ho
fatto, e non solo con il rapporto aureo. E' stato, per me, estremamente istruttivo.
Ma se tu preferisci fidarti delle statistiche e del CICAP, padronissimo.
QUOTE
E anche se nessuno lo ha mai verificato gli dai un significato perchè gli altri credono che ci sia.
Gli do un significato perché produce un effetto, per quanto sottile questo possa essere. E uno degli assunti della comunicazione è "il significato di una comunicazione
é l'effetto che ottiene". Quindi, poiché produce un effetto (anche minimo), ha un significato (anche minimo). Almeno per me. Ma non è mia intenzione convincertene.
QUOTE
Lo spiegheresti anche come una sorta di effetto placebo. L'effetto placebo non è negato da nessuno (compreso il CICAP) perchè è ben misurabile. In molti esperimenti rappresenta il controllo contro cui verificare l'esistenza di un fenomeno. Per trasportare il concetto alla fotografia dovresti fare delle foto qualsiasi e scrivere sotto che sono state fatte applicando il rapporto aureo. Secondo te se l'osservatore è convinto che il rapporto sia una regola compositiva, o che addirittura renda la foto più attraente, allora la foto lo sarà anche se il rapporto non c'è. Benchè sia un approccio interessante secondo me non è molto istruttivo per fare foto.
Appunto,
una sorta di placebo. Non esattamente la stessa cosa. Tutti noi siamo "vittime" di questo effetto: si chiama
codifica. Le parole che usiamo non significano un beatissimo legume, a meno che non le inseriamo in un sistema di codifica condiviso (e su questo potremmo stare a discutere per anni). E anche così, la stessa parola ha sfumature di significato diverse per ognuno... anche se
in generale compatibili. Se io dico "bicchiere", siamo d'accordo sul
tipo di oggetto, ma NON sullo specifico bicchiere (forma, materiale, caratteristiche, e associazioni relative) a cui ci riferiamo, e la parola ha significati diversi per me e per te.
Il rapporto aureo è, quanto meno, una convenzione culturale.
Ah, a proposito di presupposti diversi: tu dici che l'effetto placebo rappresenta il controllo
contro cui verificare l'esistenza di un fenomeno (strano, l'uso della parola "contro", non trovi?
); io sostengo che il placebo è un fenomeno in sé, e che ne coinvolge molti altri, e che mi interessa sapere se e come posso utilizzarlo attivamente nella pratica. Di nuovo, approcci diversi, e non è mia intenzione convincerti di nulla. Ognuno la pensa come vuole. E' soltanto una constatazione.
Sul fatto poi che sia o no istruttivo per fare foto, insisto: il mio suggerimento è quello di SPERIMENTARE, e poi decidere sulla base dei risultati. E questo, a parer mio, è MOLTO utile per fare foto. E non solo per fare foto.
QUOTE
Comunque, ti definisci un clinico. Immagino perchè sei un medico o uno psicologo
Ah, ma allora non leggi le risposte... Avevo avuto questo sospetto. Ma ci lavori, per il CICAP?
Ho detto chiaramente che sono uno psicologo clinico.
QUOTE
Il problema qui è che bisogna dimostrare che qualcosa funzioni, non solo per te ma anche per gli altri, altrimenti comunichi solo con te stesso (scelta comunque leggittima).
Spiacente, non devo dimostrare proprio nulla. O almeno non ad altri. Io mi fido del risultato dei miei esperimenti, e questi coinvolgono gli "spettatori", o interlocutori. Come già ho detto, se TU facessi gli stessi esperimenti potresti arrivare a conclusioni OPPOSTE. Nema problema. Tu faresti foto secondo le TUE conclusioni, e io secondo le MIE. E' per questo, forse, che le foto raccontano tanto del fotografo che le scatta...
QUOTE
Per inciso i medici diagnosticano le malattie e forniscono una terapia per la quale esiste una certa probabilltà di efficacia, trovata dai ricercatori. Il medico non può sapere se la terapia funzione veramente perchè la sua casistica non ha valore statistico.
Probabilmente questa sarebbe di per sé un'ottima ragione per spiegare la mia personale scarsa frequentazione dei medici, almeno come paziente.
A parte gli scherzi, questo mi pare alquanto OT. Ma mi viene da chiederti: "La sua casistica non ha valore statistico" SECONDO CHI? Se io fossi il medico, la mia casistica avrebbe UN SACCO di valore statistico PER ME.
E il medico sa meglio di chiunque altro se quella terapia funziona per quello specifico paziente...
QUOTE
Ma mi sembra che per te la statistica non abbia nessun valore.
Esatto, almeno fino a quando non sarà in grado di rispondere alla domanda della famosa storiella... "Tranquillo, il 90% dei pazienti con la sua diagnosi guarisce!" "Sì, ma... io sono nel 90% o nell'altro 10%?"
In psicologia, poi, dove ogni persona è per default unica, e l'unica cosa in comune è la neurologia (e anche quella solo in linea di massima), e quasi tutto è soggetto ad interpretazione, la statistica mi sembra del tutto fuori luogo, se non forse a livello di esercitazione. Ma è un parere personale.
Detto questo, e dopo averti nuovamente invitato a
sperimentare direttamente tutte le regole compositive e i loro effetti singoli e combinati, ti saluto. Ti lascerò a leggere e/o pensare da te a tutte le cose esposte in questa discussione, fin dalla prima pagina, e a trarre le tue personalissime conclusioni.
Io le mie le ho tratte, e come ho detto non devo convincere nessuno.
Davide