A sinistra c'era quella che ora chiamano isola nuda o isola calva. Rimasi molto colpito dalla sua asprezza, dalla spoglia pietraia senza traccia di vegetazione, dal suo isolamento totale. Sembrava una sfinge, immobile....
Adesso tutto era precipitato, non sapevo come sarebbe stato questo nuovo nemico, era il mio compagno di ieri, quello che stava accanto a me sfidando la prigione nelle manifestazioni antifascista.
Aveva cantato con me mentre ci arrestavano, avevamo combattuto assieme per 4 anni, avevamo creduto negli stessi ideali, eravamo uniti affrontando tutti gli esami ai quali ci sottoponevano, uniti in quella vittoria in cui tutti credevamo.
Mi rendevo conto che stava accadendo qualcosa di terribile e tragico, ma per me era soprattutto in gioco l'essenziale diritto dell'uomo, il diritto di dichiararsi liberamente, il diritto per cui ho combattuto da quando ho iniziato ad esprimermi.
(Dal libro di Dunja Banjevic' “L'isola nuda”)
Goli Otok o l'isola Calva é uno spuntone di roccia in mezzo al mare; arido, deserto, riarso dal sole d'estate e battuto dalla bora gelida d'inverno.
All'inizio degli anni '90 lo scrittore e giornalista Giacomo Scotti che con i partigiani era andato in Jugoslavia per costruire il socialismo, rivelò l'esistenza del Gulag di Tito sull'isola di Goli Otok.
Era l'unico campo di concentramento per comunisti d'Europa dove furono deportati tra il 1949 ed il 1956 oltre 16.000 prigionieri politici dei quali circa 450 morirono a causa delle fatiche, delle torture, delle malattie e suicidi.
Oppositori al regime del maresciallo Tito, comunisti che si erano schierati a favore di Stalin torturati da altri comunisti.
Chi sbarca a Goli Otok (ha scritto Diego Zandel)riceve un terribile benvenuto: una doppia fila di detenuti urlanti slogans titini, in mezzo alla quale il nuovo internato passava ricevendo bastonate, calci e sputi.
Chi, già detenuto, bastonava, sapeva che se si fosse dimostrato poco crudele o solo indeciso, sarebbe stato a sua volta bastonato dagli altri.
“Meglio un mese a Dachau che un'ora a Goli” dichiarò l'italiano Mario Bontempo che era stato in entrambe i lager.....
Le degradate spoglie di ciò che resta di questo lager è oggi visibile a pochi minuti di barca dall'isola di Rab.
I tetti degradati, quando non sbriciolati, di eternit, gli scheletri delle “fabbriche” sono l'impressionante residuo di quello che era il luogo di “recupero” dove i deportati cercavano di sopravvivere in un'atmosfera di continue urla e dolore, di slogan perennemente gridati, di inni cantati in coro, senza posa, sotto tortura, per raggiungere il “ravvedimento”.
E per sancire l'irreversibilità del proprio ravvedimento, il detenuto doveva trasformarsi a sua volta in aguzzino.
Le strutture concepite per salire appaiono come tunnel per scendere negli inferi della violenza
Oggi gli scheletri del passato, come resti di dinosauri preistorici lontani ma mai tanto vicini, incombono sul visitatore come memorie inquietanti che non si vorrebbe fossero mai state vissute, mentre un gregge di pecore attraversa frettolosamente come percorso da un fremito di insofferenza.
Adesso tutto era precipitato, non sapevo come sarebbe stato questo nuovo nemico, era il mio compagno di ieri, quello che stava accanto a me sfidando la prigione nelle manifestazioni antifascista.
Aveva cantato con me mentre ci arrestavano, avevamo combattuto assieme per 4 anni, avevamo creduto negli stessi ideali, eravamo uniti affrontando tutti gli esami ai quali ci sottoponevano, uniti in quella vittoria in cui tutti credevamo.
Mi rendevo conto che stava accadendo qualcosa di terribile e tragico, ma per me era soprattutto in gioco l'essenziale diritto dell'uomo, il diritto di dichiararsi liberamente, il diritto per cui ho combattuto da quando ho iniziato ad esprimermi.
(Dal libro di Dunja Banjevic' “L'isola nuda”)
Goli Otok o l'isola Calva é uno spuntone di roccia in mezzo al mare; arido, deserto, riarso dal sole d'estate e battuto dalla bora gelida d'inverno.
All'inizio degli anni '90 lo scrittore e giornalista Giacomo Scotti che con i partigiani era andato in Jugoslavia per costruire il socialismo, rivelò l'esistenza del Gulag di Tito sull'isola di Goli Otok.
Era l'unico campo di concentramento per comunisti d'Europa dove furono deportati tra il 1949 ed il 1956 oltre 16.000 prigionieri politici dei quali circa 450 morirono a causa delle fatiche, delle torture, delle malattie e suicidi.
Oppositori al regime del maresciallo Tito, comunisti che si erano schierati a favore di Stalin torturati da altri comunisti.
Chi sbarca a Goli Otok (ha scritto Diego Zandel)riceve un terribile benvenuto: una doppia fila di detenuti urlanti slogans titini, in mezzo alla quale il nuovo internato passava ricevendo bastonate, calci e sputi.
Chi, già detenuto, bastonava, sapeva che se si fosse dimostrato poco crudele o solo indeciso, sarebbe stato a sua volta bastonato dagli altri.
“Meglio un mese a Dachau che un'ora a Goli” dichiarò l'italiano Mario Bontempo che era stato in entrambe i lager.....
Le degradate spoglie di ciò che resta di questo lager è oggi visibile a pochi minuti di barca dall'isola di Rab.
I tetti degradati, quando non sbriciolati, di eternit, gli scheletri delle “fabbriche” sono l'impressionante residuo di quello che era il luogo di “recupero” dove i deportati cercavano di sopravvivere in un'atmosfera di continue urla e dolore, di slogan perennemente gridati, di inni cantati in coro, senza posa, sotto tortura, per raggiungere il “ravvedimento”.
E per sancire l'irreversibilità del proprio ravvedimento, il detenuto doveva trasformarsi a sua volta in aguzzino.
Le strutture concepite per salire appaiono come tunnel per scendere negli inferi della violenza
Oggi gli scheletri del passato, come resti di dinosauri preistorici lontani ma mai tanto vicini, incombono sul visitatore come memorie inquietanti che non si vorrebbe fossero mai state vissute, mentre un gregge di pecore attraversa frettolosamente come percorso da un fremito di insofferenza.
Buono Bruno, hai ripreso delle belle immagini in una location interessante,
hai costruito delle compo significative che portano a conoscenza bene la stessa location per uno che non l'ha mai vista,
alcune conversioni sono un po spinte e contrastate altre cupe e altre ancora perfette, nel complesso hai fatto un bel lavoro,
mi piace un buon Life con un buon commento,
puoi fare anche un bel reportage nella sezione apposita.
hai costruito delle compo significative che portano a conoscenza bene la stessa location per uno che non l'ha mai vista,
alcune conversioni sono un po spinte e contrastate altre cupe e altre ancora perfette, nel complesso hai fatto un bel lavoro,
mi piace un buon Life con un buon commento,
puoi fare anche un bel reportage nella sezione apposita.
Grazie del passaggio Maurizio.
Si alcune sono sono molto dure come post.
Evidentemente la mia scelta è stata influenzata dalla visita, dall'ambiente e da quello che quelle strutture sono state per troppi anni.
Si alcune sono sono molto dure come post.
Evidentemente la mia scelta è stata influenzata dalla visita, dall'ambiente e da quello che quelle strutture sono state per troppi anni.
Bellissimo lavoro complimenti!
Grazie Aldo, sia del passaggio che del commento.
Ottimo lavoro Bruno
Buone anche le scelte in post che restituiscono molto bene le sensazioni che abbiamo provato nel visitare assieme le rovine dell'ultimo lager del secolo scorso.
Complimenti
Valerio
Buone anche le scelte in post che restituiscono molto bene le sensazioni che abbiamo provato nel visitare assieme le rovine dell'ultimo lager del secolo scorso.
Complimenti
Valerio
Grazie Valerio, anche per il "prestito" della mano e dell'ombra
molto bello, molto forte, ma cosi' deve essere.
Le foto con la presenza umana, paradossalmente, sono piu' "esplicite" nell'esprimere il dolore, ma io mi faccio prendere di piu' da quelle meno esplicite:
in questi luoghi e' molto piu' pesante pensare a cio' che non e' palese, piuttosto che il contrario.
In particolare mi colpisce la n. 5. I segni di ruote a zig zag fanno pensare a qualcuno che "tergiversa" per non voler arrivare in fondo alla strada.
Bel reportage, bel racconto, perfette le parole, oltre che la sequenza delle immagini.
Complimenti Bruno!
Bi
Le foto con la presenza umana, paradossalmente, sono piu' "esplicite" nell'esprimere il dolore, ma io mi faccio prendere di piu' da quelle meno esplicite:
in questi luoghi e' molto piu' pesante pensare a cio' che non e' palese, piuttosto che il contrario.
In particolare mi colpisce la n. 5. I segni di ruote a zig zag fanno pensare a qualcuno che "tergiversa" per non voler arrivare in fondo alla strada.
Bel reportage, bel racconto, perfette le parole, oltre che la sequenza delle immagini.
Complimenti Bruno!
Bi
Grazie dnovanta, purtroppo sono molto in ritardo, ma mi era sfuggito il tuo bellissimo intervento.