QUOTE([giada] @ Nov 10 2005, 09:00 AM)
... Però,e c'è sempre un però nelle cose,com'è vero che la percezione è soggettiva e l'interpretazione pure c'è sempre un modello di comunicazione oggettiva insito dentro noi che va a caccia di regole da applicare.
Beh, Giada, più che andare a caccia di regole da applicare mi sa che semplicemente applica (spesso inconsciamente) le regole che conosce, senza soffermarsi più di tanto sull'esserne consapevole o essere in grado di enunciarle... E non sono molto sicuro che questo sia un modello di comunicazione oggettiva.
Onestamente, più che di
"oggettivo" parlerei di
"condiviso". E questo introduce l'aspetto
"culturale" della comunicazione, e ciò che tu stessa implichi quando parli dell'
a priori ai monologhi Joyciani e degli standard di comunicazione che si possono modificare e creare (il che implica appunto che non sono
oggettivi ma
condivisi, e che devono essere portati ad un
sufficiente livello di condivisione per poter essere
efficaci...
).
Inoltre, ancor più che di
regole parlerei di
codici.
Un altro fattore necessario per una comunicazione efficace, oltre al conoscere i codici condivisi di comunicazione, è l'
intenzione. Se non sappiamo
cosa volevamo comunicare, e cioé
che effetto volevamo produrre, non possiamo sapere
se lo abbiamo effettivamente comunicato, e quindi se la nostra comunicazione è stata o no
efficace. Anche tu fai questa distinzione. Ma io non concordo al 100% con la tua frase:
QUOTE([giada] @ Nov 10 2005, 09:00 AM)
...ma un conto è comunicare con il caos,un altro è comunicare con intenzionalità,ovvero,creare una comunicazione che possa divenire innovativa perchè efficace attraverso il comunicare uno squilibrio.
Quello che stai facendo qui è esprimere una equivalenza fra "comunicare con intenzionalità" e "creare una comunicazione innovativa"... Ma nella realtà quante volte possiamo avere l'intenzione di comunicare in modo consueto? Se non creiamo una innovazione la nostra comunicazione non è intenzionale?
...E nel periodo immediatamente successivo definisci la comunicazione potenzialmente "innovativa" come "efficace attraverso il comunicare uno squilibrio". Ma uno squilibrio rispetto a cosa? Quale squilibrio, esattamente? Non potrebbe essere altrettanto efficace, e magari innovativa, comunicando un
equilibrio?
QUOTE([giada] @ Nov 10 2005, 09:00 AM)
Ne è di lampante esempio la differenza di comunicazione di uno psicotico che genera un forte disagio in una persona profana. Non tutti però siamo in grado di comunicare attraverso il disordine,cioè di essere compresi per la nostra pura soggettività.
La comunicazione di uno psicotico, per quel che vedo, genera spesso disagio anche negli addetti ai lavori, a meno che per "profano" tu intenda un "non psicotico"... e torniamo ai codici condivisi. In questo caso tocca a chi comunica con lo psicotico imparare i suoi codici di comunicazione e utilizzarli per "incontrare" lo psicotico nel suo mondo... Il problema di comunicazione dello psicotico sta nel fatto che i suoi codici non sono condivisi da nessun altro, non nel caos, che spesso è solo apparente.
(scusate se vi sembra OT... ma non lo è poi così tanto!).
QUOTE([giada] @ Nov 10 2005, 09:00 AM)
Se i monologhi sgrammaticati di James Joyce non avessero avuto un "a priori" decisivo per la letteratura mondiale sarebbero rimasti un "caos incomprensibile";violare uno standard di comunicazione/espressione creando un nuovo linguaggio o una precisa icona è opera dei grandi,non certo mia quando sbaglio una composizione o mi dimentico la punteggiatura. Non possiamo ridurre tutto ciò che è condiviso alle regole della mera soggettività,dobbiamo conoscere le regole,applicarle,studiarle e poi,quando ne avremo assimilato il "linguaggio" qualche nuovo grande artista saprà "come" violarle introducendo una nuova e condivisa comunicazione. Una mia foto sbagliata resta nel cestino di windows,non di certo assurge ad essere interpretata come "arte" nella mia beata ignoranza,lo abbiamo visto in secoli di storia.
E qui finalmente siamo
abbastanza d'accordo, nel senso che
la quantità di condivisione ci permette di dichiarare di esserlo...
La violazione dello standard, cioé del
codice condiviso, deve essere intenzionale per avere valore, soprattutto innovativo. E
non può, di solito,
prescindere da codici non ancora condivisi a sufficienza, ma comunque già presenti nel tessuto culturale.
Questo tuo ultimo paragrafo, se ci fai caso, sposta la
cornice del discorso dall'
assoluto allo
statisticamente rilevante, dall'
oggettivo al
condiviso.
E mi permette di fare un'ultima, forse provocatoria, osservazione.
Non esiste linguaggio senza regole (codici) condivisi. Nel linguaggio parlato queste sono le
lettere (che codificano i suoni), le
parole (che codificano il modo "corretto" di mettere insieme i segni elementari, cioé le lettere, e attribuisce una corrispondenza di "significato" a questi insiemi di segni), la
grammatica e la
sintassi (che codificano il modo "corretto" di mettere insieme le parole). La
cultura determina (codifica) la
distribuzione statistica dei significati condivisi. Al di là di questo,
tutto il resto è soggettivo.
E in fotografia?