La mostra di Berengo Gardin che si aprirà domani 13 luglio a Milano nello spazio laboratorio FORMA dà occasione a Michele Smargiassi di dedicargli un bell'articolo sul Venerdì di Repubblica. Smargiassi s'è già occupato a più riprese di fotografia sul Venerdì, e ci è venuto più volte utile nella discussione sul fotogiornalismo.
Berengo Gardin è al giro di boa: ha superato il milione di scatti, e ormai veleggia allegramente oltre il milioneecento... Ma l'articolo di Smargiassi punta su un altro aspetto. Da quattro anni, infatti, Berengo Gardin appone un timbro sul retro delle sue foto.
Mi stupisco che Smargiassi non si citi: dopo aver denunciato un bel po' di bufale su pellicola (ne abbiam parlato nella discussione sul fotogiornalismo...), dovrebbe quanto meno segnalare che è abbastanza difficile riconoscere davvero quale sia davvero una foto genuina. Ma vuole celebrare Berengo, e dunque racconta la sua intensa vita. Prima a Parigi, poi attraverso la letteratura degli anni '50, motivo d'ispirazione per il reporter:
Prima di criticare la sua scelta, il suo timbro, visitate magari la sua mostra a Milano. Ha settantacinque anni, è un colosso della fotografia. È nato con la pellicola in bianco e nero e con la pellicola in bianco e nero vuole morire. Mi sembra legittimo. Onore a un Maestro e alla sua coerenza.
Berengo Gardin è al giro di boa: ha superato il milione di scatti, e ormai veleggia allegramente oltre il milioneecento... Ma l'articolo di Smargiassi punta su un altro aspetto. Da quattro anni, infatti, Berengo Gardin appone un timbro sul retro delle sue foto.
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Avverte, in lapidari caratteri romani, che si ha tra le mani una "Vera fotografia, non corretta, modificata o inventata al computer". Timbro umanitario, che cerca di evitare l'assassinio elettronico dell'immagine; quell'immagine che, secondo Berengo Gardin, deve rimanere testimone, se non sincera, almeno passabilmente onesta del mondo che ci circonda. Am anche timbro polemico che potrebbe apparire perfino superbo a chi non conoscesse di che pasta è fatto questo barbuto a arguto settantacinquenne, veneziano adottivo, il nostro più grande e modesto reporter, uno che s'offende se lo chiami «artista»
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Del resto, la rivolta donchisciottesca di Berengo non è una sua esclusiva: negli USA un drappello di critici e fotografi guidati da un noto mediologo, Fred Ritchin, propose già una decina d'anni fa ai giornali di contrassegnare con il marchio genuine image tutte le immagini non manipolate dopo lo scatto. Ritchin è amico di Salgado: ma neppure l'Omero del reportage, a quanto pare, gli ha dato retta
Mi stupisco che Smargiassi non si citi: dopo aver denunciato un bel po' di bufale su pellicola (ne abbiam parlato nella discussione sul fotogiornalismo...), dovrebbe quanto meno segnalare che è abbastanza difficile riconoscere davvero quale sia davvero una foto genuina. Ma vuole celebrare Berengo, e dunque racconta la sua intensa vita. Prima a Parigi, poi attraverso la letteratura degli anni '50, motivo d'ispirazione per il reporter:
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«Sono nato con la fotografia in bianco e nero, percé sono nato con il cinema in bianco e nero e la televisione in bianco e nero, la mia cultura visiva è in bianco e nero». E anche i libri che ho amato, aggiunge, sono i nero su bianco. Faulkner, Steinbeck, Dos Passos.
Prima di criticare la sua scelta, il suo timbro, visitate magari la sua mostra a Milano. Ha settantacinque anni, è un colosso della fotografia. È nato con la pellicola in bianco e nero e con la pellicola in bianco e nero vuole morire. Mi sembra legittimo. Onore a un Maestro e alla sua coerenza.