Giugno 1969
Lo stridore dei freni annuncia la fermata del treno alla stazione di Siracusa e mi scuote dal torpore che segue una notte insonne.
<<… destinazione raggiunta!.....si scende!>>
Raccolgo lo zaino dall’angolo in cui l’avevo lasciato circa ventiquattr’ore prima.
La luce abbagliante del primo pomeriggio scaccia le ultime nebbie del torpore mentre percorro il marciapiede quasi deserto, con mille cicale a fare da accompagnamento al battere disordinato degli scarponi militari.
L’odore stantio di lubrificante, fumo e vecchie tappezzerie della carrozza ferroviaria, lascia il posto ad altri odori.
Odori dolci, decisi, odori sconosciuti, odori carichi di promesse.
Profumi di Sicilia.
Così ricordo la mia prima volta in Sicilia.
I mesi trascorsi al castello Maniace.
A contare le albe e ad aspettare i tramonti. Ad osservarli, durante gli interminabili turni di guardia, dipingere, minuto dopo minuto, sceneggiature di struggente bellezza che raccontavo nelle lettere a Loretta assieme ai progetti di vita dei nostri vent’anni ed alle grandi speranze da ragazzi del sessantotto.
Lo stridore dei freni annuncia la fermata del treno alla stazione di Siracusa e mi scuote dal torpore che segue una notte insonne.
<<… destinazione raggiunta!.....si scende!>>
Raccolgo lo zaino dall’angolo in cui l’avevo lasciato circa ventiquattr’ore prima.
La luce abbagliante del primo pomeriggio scaccia le ultime nebbie del torpore mentre percorro il marciapiede quasi deserto, con mille cicale a fare da accompagnamento al battere disordinato degli scarponi militari.
L’odore stantio di lubrificante, fumo e vecchie tappezzerie della carrozza ferroviaria, lascia il posto ad altri odori.
Odori dolci, decisi, odori sconosciuti, odori carichi di promesse.
Profumi di Sicilia.
Così ricordo la mia prima volta in Sicilia.
I mesi trascorsi al castello Maniace.
A contare le albe e ad aspettare i tramonti. Ad osservarli, durante gli interminabili turni di guardia, dipingere, minuto dopo minuto, sceneggiature di struggente bellezza che raccontavo nelle lettere a Loretta assieme ai progetti di vita dei nostri vent’anni ed alle grandi speranze da ragazzi del sessantotto.
Aprile 2006
Il volo Meridiana IG680, proveniente da Bologna, atterra alle 10.45, in perfetto orario, all’aeroporto Falcone e Borsellino di Punta Raisi.
<<…..vi ringraziamo per avere scelto i voli della nostra compagnia…. e vi auguriamo un piacevole soggiorno….>>
Scendo assieme a Loretta e poi Bruno e Luciana, amici da sempre e compagni di un’altra vacanza.
Solito rituale del ritiro bagagli e della pratica all’autonoleggio.
Uscendo dall’aeroporto, l’odore sgradevole del kerosene combusto lascia il posto ad una brezza fresca che ci porta profumo di glicine.
Mentre carico le valigie in auto penso a come siano proprio gli odori, il nostro senso più primordiale, ad aprirci spesso la porta dei ricordi.
Già i ricordi.
Quelli sono rimasti a Siracusa e proprio per questo ho preferito non tornarvi.
I ricordi, più sono belli e ancor più sono fragili, come i calici di cristallo.
Mai usar loro violenza, potrebbero danneggiarsi per sempre.
Per il ritorno ho scelto l’ovest: Palermo e Trapani.
Ho scelto di ritrovare qui la Sicilia, la sua luce, i suoi colori, i suoi profumi e sapori.
Ma soprattutto di ritrovare la sua gente, la musicalità della sua parlata, la sua grande generosità.
Una generosità che l’accomuna alla sua terra stupenda che, come molte terre generose, è troppo spesso preda di mani avide e senza scrupoli.
Desidero, inutile negarlo, mantenere sterile il seme di una pianta maligna: la pianta del preconcetto e della diffidenza del nord che tenta di radicare anche nella più consolidata razionalità.
Un seme lasciato cadere dalle cronache, a volte terribili degli ultimi anni, da certa informazione sempre pronta ad enfatizzare e generalizzare le negatività, ma troppo spesso latente davanti a ciò che di positivo nasce e si sviluppa nei fatti e nelle coscienze per combatterle.
Un seme gettato da certe astruse ed ottuse teorie su diversità e separatismi.
Desidero rituffarmi nella Sicilia, per scoprire che riesce ancora ad emozionare un animo un po’ indurito dagli anni trascorsi e dalle molte lezioni impartite dalla vita.
Ed è proprio con la fotografia che tento di dare corpo ed anima a queste emozioni, affinché non restino solo un altro bel ricordo da racchiudere in un calice di cristallo.
Il resto lo lascio raccontare alle immagini, sperando di riuscirvi e di non essere troppo dispersivo.
Non voglio seguire un ordine tematico.
La Sicilia è esuberanza e gli esuberanti mal sopportano le regole.
Non voglio aggiungere particolari didascalie, non ce n’erano là dove ho scattato le foto.
C’erano solo profumi, silenzi, vociare di mercati, trambusti di strada, odore di pane e di buono, rumore di mare, grida di gabbiani, fruscio di libeccio tra le foglie.
Ma questi non riesco a riproporveli.
Il volo Meridiana IG680, proveniente da Bologna, atterra alle 10.45, in perfetto orario, all’aeroporto Falcone e Borsellino di Punta Raisi.
<<…..vi ringraziamo per avere scelto i voli della nostra compagnia…. e vi auguriamo un piacevole soggiorno….>>
Scendo assieme a Loretta e poi Bruno e Luciana, amici da sempre e compagni di un’altra vacanza.
Solito rituale del ritiro bagagli e della pratica all’autonoleggio.
Uscendo dall’aeroporto, l’odore sgradevole del kerosene combusto lascia il posto ad una brezza fresca che ci porta profumo di glicine.
Mentre carico le valigie in auto penso a come siano proprio gli odori, il nostro senso più primordiale, ad aprirci spesso la porta dei ricordi.
Già i ricordi.
Quelli sono rimasti a Siracusa e proprio per questo ho preferito non tornarvi.
I ricordi, più sono belli e ancor più sono fragili, come i calici di cristallo.
Mai usar loro violenza, potrebbero danneggiarsi per sempre.
Per il ritorno ho scelto l’ovest: Palermo e Trapani.
Ho scelto di ritrovare qui la Sicilia, la sua luce, i suoi colori, i suoi profumi e sapori.
Ma soprattutto di ritrovare la sua gente, la musicalità della sua parlata, la sua grande generosità.
Una generosità che l’accomuna alla sua terra stupenda che, come molte terre generose, è troppo spesso preda di mani avide e senza scrupoli.
Desidero, inutile negarlo, mantenere sterile il seme di una pianta maligna: la pianta del preconcetto e della diffidenza del nord che tenta di radicare anche nella più consolidata razionalità.
Un seme lasciato cadere dalle cronache, a volte terribili degli ultimi anni, da certa informazione sempre pronta ad enfatizzare e generalizzare le negatività, ma troppo spesso latente davanti a ciò che di positivo nasce e si sviluppa nei fatti e nelle coscienze per combatterle.
Un seme gettato da certe astruse ed ottuse teorie su diversità e separatismi.
Desidero rituffarmi nella Sicilia, per scoprire che riesce ancora ad emozionare un animo un po’ indurito dagli anni trascorsi e dalle molte lezioni impartite dalla vita.
Ed è proprio con la fotografia che tento di dare corpo ed anima a queste emozioni, affinché non restino solo un altro bel ricordo da racchiudere in un calice di cristallo.
Il resto lo lascio raccontare alle immagini, sperando di riuscirvi e di non essere troppo dispersivo.
Non voglio seguire un ordine tematico.
La Sicilia è esuberanza e gli esuberanti mal sopportano le regole.
Non voglio aggiungere particolari didascalie, non ce n’erano là dove ho scattato le foto.
C’erano solo profumi, silenzi, vociare di mercati, trambusti di strada, odore di pane e di buono, rumore di mare, grida di gabbiani, fruscio di libeccio tra le foglie.
Ma questi non riesco a riproporveli.
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